Nei pressi del porto di Otranto c’è questa opera bellissima e terribile che ci ricorda quanto sia sbagliato usare la violenza dei respingimenti come politica di immigrazione.
Non erano africani o asiatici in questo caso, ma i vicini albanesi. A pensarci adesso, con quanti vivono in Italia senza che ci facciamo neanche caso, fa stare male
Riporto qui il testo dei pannelli che spiegano la vicenda di cronaca e la conseguente nascita dell’opera. Se siete da queste parti vale la pena passarci.
L’affondamento della Katër I Radës nelle acque del canale d’Otranto è passata alla storia come la strage del “venerdì santo”.
Era il 28 marzo del 1997 quando, dopo una collisione con una nave della Marina Militare Italiana, impegnata in azioni di respingimento del fenomeno migratorio, la motovedetta albanese Katër I Radës affondava con a bordo oltre cento persone provenienti per lo più dalla città di Valona e dall’Albania Meridionale in fuga dalla guerra civile.
Morivano in mare ottantuno persone, soprattutto donne e bambini, inaugurando così la triste sequela di morti e dispersi che contraddistingue la storia recente e la cronaca del Mar Mediterraneo.
Per volontà dell’autorità giudiziaria e dietro la spinta dei parenti dei naufraghi, la Katër I Radës viene riportata in superficie per consentire il recupero dei corpi dei migranti e lo svolgimento delle indagini. Dopo quattordici anni, a conclusione del processo, viene decretata la demolizione del relitto.
L’Amministrazione Comunale di Otranto, raccogliendo l’appello delle organizzazioni di volontariato e dei liberi cittadini. chiede ed ottiene l’affidamento dell’imbarcazione con l’intento di trasformarla in un memoriale dedicato alle vittime del mare durante le migrazioni. Da qui riparte l’incredibile viaggio della Katër | Radës verso il suo definitivo approdo: Otranto e il suo porto millenario simbolo di accoglienza e solidarietà tra i popoli.
Ma come trasformare un naufragio in un segno di rinascita?
Lo scultore greco Costas Varotsos ha accettato la sfida di intervenire con la sua arte sul relitto della motovedetta albanese. Da greco vede nel naufragio della Katër, oltre che il compimento di un tragico destino umano, il segno del naufragio di una civiltà, quella europea contemporanea che ha disperso i valori dell’eredità classica. di pietà e umanità. Nello stesso tempo egli coglie nella tragedia contemporanea, che il Mediterraneo inscena quotidianamente sotto gli occhi di quella parte di umanità impotente. il segno di una ripartenza.
“L’Approdo. Opera all’Umanità Migrante”. prima ancora di un monumento, prima di una scultura è un percorso di risarcimento culturale e morale, di presa di coscienza della comunità di Otranto, della sua vocazione all’accoglienza, della sua apertura verso l’altro, del suo rapporto con il mare. La storia della Katër I Radës viene così assunta a simbolo delle migrazioni di tutti i tempi e di tutte le latitudini, a gli approdi, di simbolo di tutti tutte le terre promesse. Un luogo in cui fermarsi. riflettere e magari, attraverso l’arte, provare a fare i conti prima di tutto con la propria coscienza di rappresentanti di quel nord del mondo paralizzato dalla paura di perdere quel poco o molto che si è conquistato ed incapace di fermare quel “nuovo olocausto” che ogni giorno si consuma nel Mare Mediterraneo.